Tre vittorie e due pareggi, entrambi maturati in trasferta. A giudicare dai risultati, l'inizio di stagione della Juventus è da solita Juventus. Da Firenze, nonostante una partita a tratti inguardabile, è venuta via comunque con un pareggio. Al Wanda Metropolitano, contro l'Atletico Madrid di Simeone, è stata raggiunta solo nel finale, al termine di un secondo tempo tra i migliori di questo avvio di stagione.
Non si possono però giudicare le squadre solo dai risultati, specialmente in questa fase della stagione e specialmente (in questa stagione) la Juventus. Perché la chiamata alle armi di Maurizio Sarri è spiegabile proprio nella volontà di Andrea Agnelli di dare una svolta alla manovra bianconera nel segno del bel gioco. Non era una questione di successi (in Italia Allegri ha fatto all-in), bensì la convinzione che senza una nuova idea di calcio, senza un gioco più corale e propositivo, in Europa sarà sempre difficile imporsi. A prescindere da chi viene e da chi va in estate.
E allora, analizzando la prestazione, dopo il match di ieri c'è poco da sorridere. Se al 90esimo Miguel Veloso, invece di scheggiare il palo, avesse trafitto Buffon l'Hellas avrebbe portato a casa un pari senza rubare nulla. I piazzati del portoghese, la personalità e la qualità di Amrabat, la spinta degli esterni: all'Allianz Stadium s'è visto un bel Verona, che ha contrastato la Juventus con le sue armi e l'ha fatto nel migliore dei modi giocando compatto, organizzato e aggressivo, sicuramente più 'di squadra' rispetto agli avversari, a quella Juventus che sarà pur tornata alla vittoria ma continua a non convincere. E se con Allegri non c'era bel gioco, ma almeno c'era solidità difensiva, con Sarri (al momento) non c'è nemmeno questo: sei le reti incassate in cinque partite, più di un gol a partita per una media che non è all'altezza di una squadra che ha sempre costruito le sue vittorie partendo dalle certezze difensive.
In tutto questo, in casa bianconera continuano a restare irrisolti i due casi che sono stati ufficialmente posti sotto i riflettori dopo la stesura della lista Champions. Per trovare una sistemazione ad Emre Can bisognerà aspettare almeno gennaio, ma le fotografie che martedì hanno ritratto il centrocampista tedesco a Francoforte per partecipare a una iniziativa della sua vecchia scuola, mentre il resto del gruppo era alle prese con la rifinitura al Wanda Metrpolitano, certificano che dalle sue dichiarazioni dello scorso 4 settembrenon ci sono stai passi in avanti. Situazione diversa per Mario Mandzukic, che ha scelto la linea del silenzio ma anche di provare a risolvere prima questa situazione, ascoltando le offerte provenienti dal Qatar. Il croato è in attesa, ha dato il suo avallo al trasferimento ma aspetta il contratto della vita (dieci milioni a stagione): quel contratto che, al momento, l'Al Rayyan ancora non ha ancora presentato.
Quattro vittorie in quattro partite. Dopo il pareggio contro lo Slavia Praga, l'Inter era chiamata a una risposta e risposta c'è stata. Non lasci ingannare il risultato, il raddoppio trovato solo nel finale: la squadra di Antonio Conte ha vinto il derby meritatamente. Avrebbe meritato di trovare il gol già nella prima frazione, ha sbloccato il match grazie a un tiro deviato di Brozovic ma di fatto ha sempre controllato la gara, senza correre pericoli nemmeno nel finale quando il Milan - alla disperata ricerca del gol del pari - ha alzato il suo baricentro con l'unico risultato di subire anche il 2-0.
E' stato un derby che ha restituito in maniera chiara, fedele, a che punto è il lavoro dei due allenatori. E se da un lato c'è Antonio Conte che ha già messo il suo timbro su questa Inter, dall'altro il Milan di Marco Giampaolo fatica ad emergere: due i gol realizzati in quattro partite da una squadra confusa e prevedibile, che non riesce a essere pericolosa. Venerdì, in conferenza stampa, l'allenatore rossonero ha dato ragione a chi gli ha fatto notare che fino a questo momento la migliore versione del suo Milan è quella vista a Cardiff, in amichevole contro il Manchester United lo scorso 3 agosto. Uno scenario che non è cambiato dopo il derby, anzi: il Milan e tutti i suoi limiti sono stati messi di nuovo a nudo in un derby decisamente amaro per i tifosi rossoneri.
Eugenio Corini è stato il grande artefice della risalita in Serie A del Brescia. Nella scorsa stagione il 'Genio' (ingaggiato dalla quarta giornata) ha dato gioco e risultati a una squadra che nelle griglie estive era data da tutti in zona play-off e invece ha vinto il campionato. Corini dopo l'ultimo impeccabile campionato è rimasto, dopo un'estate in cui lo splendido colpo Mario Balotelli (che sarà in campo solo dalla prossima giornata) ha rubato la scena rispetto a tutto il resto, a una campagna acquisti fatta di tante scommesse e poche certezze.
Solo per quanto appena rapidamente descritto, Corini meriterebbe fiducia pressoché illimitata fino alla fine della stagione. E invece sono bastate due sconfitte dopo la vittoria di Cagliari per mettere in discussione la sua posizione, per far crollare le quote relative a un suo esonero. Dopo la rocambolesca sconfitta contro il Bologna, l'allenatore del Brescia ha vissuto una settimana a dir poco surreale. Con l'ombra di Stefano Pioli che aleggiava sopra la sua testa. Un ingiustificato clima di incertezza che l'hanno portato a rispondere per le rime in conferenza stampa e, successivamente, a rispondere sul campo coi tre punti di Udine. Una vittoria fondamentale per scacciare pressioni e tensioni.
Ma ora la palla passa a Cellino perché, se bastano due sconfitte per mettere in discussione l'allenatore dopo tutto quello che ha fatto, vuol dire che per Corini è solo questione di tempo. Che per lui sarà estremamente complicato concludere questa Serie A sulla panchina del Brescia.
Autore: Redazione TA
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