Di giovani talenti come lui Antonio Percassi spera di scoprirne molti altri in questa sua seconda era atalantina. Alessio Tacchinardi rimane uno dei migliori prodotti di sempre del settore giovanile nerazzurro. Se non il migliore. Il suo palmares parla chiaro: 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale, 5 scudetti, 1 Supercoppa Europea, 1 Coppa Italia e 4 Supercoppe Italiane. Il tutto vinto in undici anni con la Juventus. Il ragazzotto nato a Crema il 23 luglio 1975, però, non dimenticherà mai gli anni trascorsi a Zingonia, ed in particolare la prima volta che varcò i cancelli del centro sportivo Bortolotti: “A portarmi all’Atalanta fu il 'Maestro' Bonifacio, che mi vide in una partita quando giocavo nel Pergocrema - racconta un Tacchinardi quasi emozionato - avevo solo dieci anni, e quella è stata la mia prima grande gioia a livello calcistico. All’Atalanta ho imparato molte cose, in campo ma anche fuori. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi insegnanti, di sport e di vita. Oltre a Bonifacio ho avuto Perico, Prandelli e il grande Favini. Mi hanno insegnato la tecnica, il rispetto per i compagni e per gli avversari, e poi anche la cultura del lavoro e del sacrificio. Tutte cose che poi si sono rivelate fondamentali per la mia carriera”.
Quello di quegli anni era un vivaio nerazzurro molto florido, con diversi campioncini che poi si sono affermati anche a livello nazionale: “Avevo come compagni gente del calibro di Morfeo, Locatelli, Foglio e Savoldi. Io giocavo da regista e indossavo la fascia da capitano. Ero un po’ quel che si dice un allenatore in campo. Eravamo una grande squadra, e a 16 anni vincemmo lo scudetto degli Allievi. Poi dalla stagione successiva io iniziai ad allenarmi con la Prima Squadra”.
Da lì a poco la maglia nerazzurra iniziò a diventare un po’ stretta per il 19enne centrocampista che già stupiva tutta Italia per personalità e grinta, tanto che nel 1994 si trasferì a Torino per vestire quella bianconera: “Con la Juve ho vinto molto, ma penso che senza quello che ho appreso a Zingonia non avrei mai potuto fare quello che ho fatto. La vittoria più bella rimane la Champions conquistata contro l’Ajax nel 1996. La soddisfazione più grande è invece quella di avere giocato undici anni con una squadra gloriosa come la Juve, e soprattutto di essermi meritato una stella con il mio nome tra i 50 giocatori più rappresentativi della storia bianconera nel nuovo stadio”.
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, nel 2008, Tacchinardi ha iniziato a intraprendere la carriera da allenatore: “È sempre stato quello che volevo fare una volta smesso di giocare. Penso di essere portato per questo mestiere. Ora alleno da un paio di stagioni gli Allievi nazionali del Pergocrema, e non nego che mi piacerebbe fare ritorno a Zingonia per seguire una formazione del settore giovanile nerazzurro. Sto frequentando i corsi per ottenere i vari cartellini”.
Il nuovo mister non ha mai smesso di guardare le partite, e di seguire la tanto amata Atalanta: “Avrà sempre un posto speciale dentro di me, visto che è stata la mia casa per molti anni. Attualmente la vedo bene, praticamente è già in A e ha buone prospettive anche per l’anno prossimo. Ed è giusto così, perché una tifoseria passionale come quella atalantina penso di averla vista solo all’Athletic Bilbao in Spagna”.
A trascinare la squadra nerazzurra è arrivato da poco un nuovo presidente, che Tacchinardi ha già avuto modo di conoscere nel corso della sua prima presidenza: “Percassi sta facendo grandi cose, per la squadra ma anche per i tifosi. Come l’iniziativa delle magliette ai neonati. Queste sono cose che fanno bene al mondo del pallone. Del resto lui è un innovatore e un vincente di natura, e soprattutto è uno che fa seguire sempre i fatti alle parole. Inoltre tiene molto al settore giovanile, e questa è una cosa importante che si sta perdendo nel calcio italiano. Quando vincemmo il campionato con gli Allievi dell’Atalanta, venne negli spogliatoi per consegnarci una medaglia e farci un discorsetto”.
Pur non avendoci mai giocato insieme, Tacchinardi conosce molto bene anche Doni: “Purtroppo non ho mai avuto il piacere di essere in squadra con Cristiano, nemmeno in Nazionale. E’ una specie di Highlander secondo me, immortale e in grado di dare una grande carica ai compagni. Anche quando non è in campo. E’ un po’ il Del Piero dell’Atalanta”.
E ha parole di stima anche per il discusso Stefano Colantuono: “E’ un allenatore che mi piace molto perché è un sanguigno, ha fame e molta voglia. Lo vedo bene anche in Serie A con l’Atalanta perché sa motivare nel modo giusto i giocatori che ha a disposizione. Forse è vero, non mette in mostra un calcio sempre spumeggiante, ma anche noi con Lippi alla Juve non giocavamo sempre benissimo. Però vincendo siamo arrivati sul tetto del mondo e abbiamo zittito tutti”.
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Autore: Luca Bonzanni
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