Il calcio non è una scienza esatta, un assioma da tutti condiviso. Tra le variabili impazzite di questo strano gioco in cui tutti si affannano ad infilare la palla in rete la figura dell'allenatore è tra le più bizzarre e di difficile connotazione. Prima dell'avvento dei cosiddetti mass media, il tecnico era un normalissimo uomo che aveva il compito di scegliere chi mandare in campo. Certo, sto banalizzando ma la realtà non è tanto dissimile. Ultimamente la figurina dell'allenatore, oltre ad irrompere, in maniera fissa, negli album Panini, ha acquisito un potere straordinario. L'allenatore conta tantissimo. I giocatori vanno in campo per eseguire i suoi dettami, lui è il supereroe che telecomanda i suoi fidi scudieri. I vari Mourinho, Guardiola, Ancelotti e Conte, tanto per citarne alcuni dei più osannati, sono ormai figure quasi mitologiche. Condottieri di stampo napoleonico che hanno tra le mani i segreti necessari per vincere ogni tipo di sfida, sia in campo che, principalmente, fuori dal campo. Date a loro un gruppo di giocatori e loro ne faranno una squadra che gioca a memoria... Onestamente resto fedele alla mia idea, ovvero che l'allenatore conta il giusto. Le partite le perdono e le vincono i giocatori, gli allenatori, più che urlare e sbraitare, possono fare ben poco durante la partita. Ecco, in settimana hanno un peso notevole ma, quando scatta il cronometro, la loro figura si sminuisce. Detto questo, un allenatore va scelto sempre con la giusta accortezza. Nel giorno dell'addio al povero Moyes (come rovinarsi in pochi mesi una potenziale carriera da top coach), il mio pensiero va all'isolato Seedorf. Il patron Berlusconi ci ha messo un secondo a sceglierlo, nel medesimo tempo lo ha abbandonato al suo destino. Neppure cinque vittorie consecutive lo stanno mettendo al riparo dalla concreta possibilità di un suo addio a fine stagione. Ma perché? Perché, semplicemente, Seedorf non è un allenatore "di stile Milan". Lui, l'olandese che in campo adorava imporre la sua legge, ha trovato, al Diavolo, un ambiente poco incline a chi ha il coraggio di decidere con la propria testa. Da persona d'ingegno e dotata di grande fiuto per gli affari, Seedorf si è tutelato con un accordo per altre due stagioni ma, purtroppo, l'errore l'ha commesso anche lui, e piuttosto grossolano. Poteva cominciare dal basso, iniziare la sua carriera con moderazione e, invece, ha puntato subito al top, credendo di potercela fare, proprio come gli riusciva in calzoncini e maglietta. La fretta l'ha consigliato male e ora si ritrova nel bel mezzo di una tempesta dalla quale farà fatica ad uscire. Dovesse restare, sarebbe costantemente sotto esame. Dovesse andarsene, avrebbe fallito la sua grande occasione. Il silenzio del Milan, o meglio, dei vertici, è assordante. Seedorf era convinto di poter dettare legge ma lui non è Mourinho, Guardiola, Ancelotti o Conte, ovvero quelli che, non si sa come, ma hanno tra le mani i segreti necessari per vincere ogni sfida. Lui sa solo vincere in campo e questo, nel calcio d'oggi, non basta...
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