Quanto conta un allenatore, nel rendimento di una squadra? Nelle partite e nei campionati? Domande, non risposte. Trovarle è sempre stata un arcano, quando sembrava d'avere il Graal è arrivato il santone a sovvertire le gerarchie. Un'annata a raccontare un altro percorso, un'altra verità. C'è però la matematica, ad aiutarci. L'allenatore vincente è in una squadra vincente, non per caso ma per merito. E' semmai strano il contrario, sicché non stupisca se l'Inter stavolta ha deciso di dare una lezione a tutti. Di prendere uno che è un assioma, che sta ai successi come alla fame, alla voglia. Due giorni fa Leonardo Bonucci, suo pretoriano, ora capitano ma da avversario, l'ha raccontato nel modo perfetto e più appropriato, disegnandone un affresco. "Ci ha trasmesso fame, voglia di non mollare mai, la mentalità che ti permette di andare oltre i fastidi per arrivare all'obiettivo. Ci ha inculcato questo dal primo giorno, Conte è stato perfetto per quella Juventus". Conte era perfetto per la Juventus post sprofondo, post Calciopoli, di quella che aveva scavato dopo il buio e che poi era risalita. Conte è perfetto per questa Inter, schiacciata, sportivamente umiliata e calpestata in Italia dalla Vecchia Signora. Che vince da troppi anni, nelle menti e nelle idee nerazzurre, per non provare a trovare la giusta medicina per ribaltare le gerarchie. Ecco perché Conte. L'esempio massimo che viene in mente, di questa cura d'impatto, è raffigurato dallo sguardo, dalle corse e dai cross di Antonio Candreva. Con Luciano Spalletti, che era allenatore, gestore e motivatore, era in declino. Conte è di più. Plasma e carica, se per lui sei disposto a gettarti nel fuoco, e di giocatori buoni, non di fuoriclasse, è piena la sua storia. Li ha migliorati, non solo allenati, gestiti e motivati. Candreva è la fotografia dell'Inter contiana e per questo Suning ha fatto il miglior colpo della sua recente storia, più di Luka Modric, di un altro campione, un colpo degno dell'arrivo di José Mourinho.
Sarri resta ancora una splendida scommessa Il giudizio sulla Juventus resta quello dell'inizio, inevitabile: Maurizio Sarri meritava un'opportunità simile, dopo la gavetta della polvere, della gloria di provincia e dei quasi. Però resta ancora una splendida scommessa. Splendida perché Sarri è una filosofia e un modo di pensare al bel calcio, più che al calcio bello. L'estetica viene prima, il risultato di conseguenza, l'una non esclude l'altra ma la include nelle idee dell'allenatore toscano. Solo che ancora resta un quasi, un qualcosa in forse, in divenire, e chissà se lo sarà. Perché l'Inter ha preso Conte e per i motivi di cui sopra, e oggi vedremo se anche nell'incontro tra filosofie e storie, non è più distante chilometri ma metri. Forse centimetri. Magari proprio oggi a San Siro finirà in una Caporetto per Conte oppure viceversa ma una rondine non fa primavera. Il giudizio non cambierà ma certamente instraderà quello che sarà. Maurizio Sarri, per adesso, fino ad adesso, resta una scommessa, non solo splendida. Perché i progetti chiedono tempo e i bilanci, Cristiano Ronaldo, la Juventus e la sua filosofia, non ne hanno. Non ne possono avere. Vincono e devono farlo, ora, subito, adesso. Sarri è filosofia, appunto, e la sensazione di sottofondo che non combaci con il pragmatismo della Juventus. E' una sensazione che rimane vivida, ancora, anche adesso che ha saputo adattarsi ai giocatori, ai campioni, scegliere dalla lunga lista. E' scemata col tempo, l'Inter può essere il giusto passaggio per indirizzarla ancora.
Che succede ad Ancelotti e al Napoli? L'ultimo capitolo è ancora fatto di pagine, non di una storia. Però la domanda nasce, spontanea. E' da Scudetto? O sta soffrendo il ruolo di terza, l'intromissione dell'Inter che nell'immaginario e pure in classifica l'ha superato? Aurelio De Laurentiis ha vissuto un'estate dove ha mancato il grandissimo colpo ma ha preso Manolas e Lozano. Se il primo sta registrando, il tempo è dalla loro, gli automatismi con Koulibaly, il secondo ha sempre giocato da esterno nei tre ma con quel modulo adesso il Napoli non gioca. C'è il caso Lorenzo Insigne, che non sembra soddisfatto della sua gestione, capitano per due volte fuori e nell'ultima in tribuna. Lo schema di oggi forse lo penalizza? Lo spettro dell'ultima stagione con Benitez c'è, ne è conscio anche il ragazzo. Milik è rimasto, ha giocato più sottopunta con Llorente e ariete col messicano. Però deve ancora sbloccarsi e la sensazione è che in troppi non stiano giocando nel proprio ruolo ideale. Devono adattarsi loro ad Ancelotti o viceversa? Oppure in estate, come ha fatto l'Inter con Perisic, forse unica tra le grandi, risolvere il problema prendendo giocatori adatti e perfetti per i rispettivi ruoli? Tante domande. Troppe. Però quando ragioni di allenatori è così, in fondo. Non c'è mai una strada univoca. La scelta di Ancelotti al Napoli è andata in quella giusta, ovvero prendere un vincente per vincere. Ad oggi, però, le strategie delle società e delle dirigenze, sembrano dare ragione all'Inter e alla Juventus.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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