Allora, non si dovrebbe mai iniziare un articolo con “allora” ma non si dovrebbe neppure guardare i programmi dove si parla di fidanzati immaginari, eppure lo fanno in molti.
C’è la questione Milan, già trasformata in “questione Giampaolo”. Il Milan del derby non era vero Milan. Cioè, lo era formalmente, ma raramente si era vista così tanta differenza tra cugini. E voi direte: “Beh, tu te la ridi sotto i baffi” e potete anche pensarlo, ci mancherebbe. Ma qui son mica in veste di tifoso e vi dico quel che penso. Penso che il Milan (inteso come società) abbia commesso un grave errore, che non è quello di aver scelto l’ex tecnico della Samp, semmai di non aver capito che se punti su siffatto allenatore e speri che riesca a mettere in campo “il suo calcio”, non puoi inseguire unicamente la logica dei giovani e delle plusvalenze.
Il Milan ha una tonnellata di “mezzi trequartisti” e nessun trequartista vero, ha una punta che ama le palle lunghe e vuole giocare da solo, che in attesa di Bonaventura non dispone di un centrocampista capace di qualche “strappo” in verticale. Ebbene, Giampaolo voleva il trequartista (“non quello classico in puro stile “Brasile”, ma uno più dinamico”, così mi ha spiegato Cassano l’altra sera), voleva giocare con le due punte, sperava in un centrocampo decisamente più “sveglio”. Il Milan (inteso come società) ha in qualche modo fatto lo sgambetto al suo tecnico, quello stesso sgambetto che Gattuso ha evitato per tempo perché, diciamolo, il buon Rino mica si fa fottere dal “bla bla” e certo non accetta che la logica della cassa prevalga su quella del campo.
Il risultato lo abbiamo visto nel derby: una squadra parecchio in affanno, senza vere idee, un “non Milan”. Il pubblico è stato paziente ma ora pretende una reazione. E qui tocca a Giampaolo: se non puoi mettere in pratica la tua idea di calcio beh, allora cambia, anche a costo di dover rinunciare a qualche preziosa pedina. E fallo in fretta, perché le responsabilità sono tante e diffuse, ma ben sappiamo quanto è comodo prendersela col tecnico di turno. Ecco, un “Milan” come quello visto sabato non si è praticamente mai visto, del resto non si era mai visto neppure un amministratore delegato muto. Sì, parliamo di Gazidis.
Al contrario si è vista l’Inter. L’Inter di Conte. Lasciamo perdere il “bla bla” e badiamo al sodo. Sapete perché Conte guadagna 11 milioni di euro? Esatto, perché è capace di trasformare “buoni gruppi” in gruppi “potenzialmente vincenti”. Il successo di sabato è stato questo, un successo di gruppo. Hanno giocato tutti bene ma non benissimo, si sono impegnati al massimo ma non sono stati perfetti; la differenza l’ha fatta l’applicazione, la capacità di remare tutti dalla stessa parte, l’assistenza di questo a quello, il fatto che – per esempio – a centrocampo uno come Brozovic ha potuto liberare la mente perché affiancato da due alfieri finalmente affidabili (Sensi e Barella).
È stata una vittoria del collettivo, finalmente, e la riprova la dà la classifica delle inquadrature: negli ultimi anni nei match che contano il faccione più inquadrato in casa nerazzurra era spesso e volentieri quello di Handanovic, sabato lo sloveno si è visto solo quando ha guidato il gruppo a raccattare i meritati applausi sotto la curva. A suo tempo Marotta mi disse: “C’è molto da fare, ma so cosa va fatto”. Ha scelto il tecnico, il team manager, ha “ripulito” lo spogliatoio, ha portato nel medesimo spogliatoio tanta esperienza in più: non è abbastanza per dire “l’Inter vincerà” ma è abbastanza per dire “avete mantenuto le promesse”. Non poco davvero.
Del Napoli stupisce l’attacco. A poche ore dalla fine del mercato si ragionava su “Llorente sì, Llorente no”. In passato quasi sicuramente sarebbe finita con “Llorente no” e un De Laurentiis straripante: “A cosa serve? Ne abbiamo già fin troppi”. Questa volta è andata diversamente. Il presidente ha assecondato il suo allenatore, oggi il Napoli dalla trequarti in su può fare quel che vuole: l’attacco dei piccoli, l’attacco con le torri, falsi o veri nueve a manciate, varie ed eventuali. Anche in questo caso non abbiamo la minima idea se basterà per far male a Juve e Inter, ma di sicuro questa volta Aurelione non si è nascosto dietro l’alibi del fatturato. Non poco per un intransigente come lui.
E poi la Juve, impegnata oggi contro il Brescia senza il suo faro, che poi è Ronaldo. Si parla assai di Juve di Sarri che ancora non assomiglia al Napoli di Sarri. Ebbene, mai gli somiglierà e non è detto che sia un male. Quel “Sarri lì” non esiste più, quello nuovo ha imparato (già a Londra) ad essere più pragmatico e sa perfettamente che a Torino dovrà esserlo ancora di più, perché giocare benissimo è importante ma aprire la bacheca è “più importante”.
Molti in queste ore chiacchierano di Balotelli, del suo ritorno. Qui preferiamo spendere due parole su Tonali, il giovine fenomeno e suo compagno di squadra. C’è chi dice “non esageriamo con le esaltazioni che poi è un attimo che si perde”. Forse non lo hanno visto giocare. A 19 anni questo ragazzo ha tutto: personalità, visione, tecnica, dinamicità, capacità di capire i momenti del match. Tutto. Sbaglierà qualche partita, ovvio, ma uno così – osiamo - nasce ogni 50 anni.
Ps. A dirla tutta lo scrissi anche di Vincenzo Sarno: Tona’, toccati.
Infine la questione razzismo. La liquidiamo in tre-righe-tre. Alcuni “tifosi” dicono: quello “da stadio” non è razzismo, solo un tentativo di dar fastidio agli avversari. Ecco, a tutti questi consigliamo di aprire un libro di storia delle medie (ma forse anche delle elementari). Sul libro di storia delle medie (ma forse anche delle elementari) troveranno i motivi per cui ululati e altre puttanate mai saranno un “mero tentativo di dar fastidio agli avversari” semmai profonda espressione di ignoranza e bestialità da combattere con una sola arma: la totale, continua, feroce intransigenza.
Ciao. Alla prossima.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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