Ben trovati. Sapete molto bene quanto da queste parti apprezziamo le pause per la Nazionale. Moltissimo. Ecco, esatto, in regime di “pausa” viene fuori un po’ di tutto: ci si annoia, saltano fuori le balle di mercato, si esasperano le polemiche e così via. In questo specifico caso tiene banco il “caso-Ronaldo”, il giocatore sostituito che si incazza assai, manda a quel Paese qualcuno (sì, Sarri), fugge negli spogliatoi e lascia lo stadio senza dire neppure “saluti a tutti”.
Molti si domandano “cosa ha detto Cristiano uscendo dal campo?”, altri rispondono con letture di labiali azzardate. Ci si divide tra chi sta col tecnico (“la Juve prima dei giocatori”) e chi contro (fu lui che disse “Ronaldo e altri dieci”), tra chi giustifica il calciatore (“capita a tutti”) e chi lo condanna (“serve rispetto anche e soprattutto se guadagni 31 milioni di euro netti”). Effettivamente nei 62 milioni lordi dovrebbe essere compresa anche la capacità di digerire una sostituzione, tra l’altro doverosa. Ma il portoghese ci ha abituato a mettere al primo posto se stesso, spesso in campo e ancora più spesso in occasione di premiazioni importanti (“vinco io? Ci Vado. Non vinco? Sto a casa”).
Il guaio resta: come ci si comporta con un 34enne strapagato e capriccioso? Al momento il club tace ed è difficile immaginarsi “se” e “quali” provvedimenti prenderà. Sarri al momento non solo ha minimizzato, ma si è esibito in uno stucchevole ringraziamento “per la disponibilità” rivolto al su n° 7. Diciamolo, non poteva fare altrimenti, ma così facendo ha dato ragione a chi sostiene la tesi del “i giocatori non sono tutti uguali”.
Viene automatico fare un passo indietro. Estate 2018, la Juve e Ronaldo studiano un modo per unirsi in matrimonio: l’allora dg Marotta fa capire di non essere completamente d’accordo, non per una questione di “utilità di campo” (ci mancherebbe!), quanto di costi e di età (34 anni non sono la fine del mondo, ma alla lunga lo possono diventare). Il dato di fatto è che la Juve con cotanto campione ha certamente aumentato il suo appeal, ma – per ora - non la sua competitività. Ora questa gattaccia da pelare, con il tecnico coraggioso sul campo ma costretto alla “resa” fuori (“mi avrebbe dato più fastidio se non si fosse arrabbiato” = frase fatta) e la società che medita. Intanto, è sempre bene ricordarsi che stiamo parlando della squadra 1ª in classifica e già qualificata agli ottavi di Champions: c’è chi sta peggio.
Non l'Inter, checché se ne dica. È vero, Conte è andato "lungo", si è arrabbiato, ma ci ha pensato la società a tranquillizzarlo e ancor più i suoi giocatori: i 3 punti sofferti con il Verona sono la testimonianza che questo gruppo sa soffrire, i 14 giorni di sosta serviranno per riordinare le idee e recuperare un po' di energia (nazionali permettendo). Il mercato fara il resto, ma è inutile parlarne prima di capire se l'Inter riuscirà a qualificarsi per la fase ad eliminazione diretta in Champions. Serve una piccola impresa, dovesse arrivare il tecnico verrà "ricompensato" con un paio di innesti di livello (cioè, probabilmente arriveranno a prescindere, ma meglio far finta di niente).
Chi ha tanti problemi è il Milan. Il dato di fatto è che anche quando riesce a metterli da parte (davvero una buona partita a Torino), rimane ancorato al principale guaio di questo inizio stagione: il digiuno offensivo. Il Diavolo ha segnato meno di un gol a partita (11 in 12) e si ritrova a rimpiangere Cutrone e la sua cattiveria. Sarà vittima della solita maledizione del 9 o solo di un gioco che fa fatica a innescarlo, ma Piatek è l'ombra del giocatore che l'anno scorso insaccava qualunque mattone gli venisse lanciato in area (ricordate la rete all'Atalanta?). Leao? Si è anche impegnato con i bianconeri, ma la sua zolla preferita è ben lontana dall'area di rigore. E se parti a 40 metri dalla porta, è difficile fare gol. Ai rossoneri serve un attaccante letale, feroce, di esperienza. Insomma, serve Ibrahimovic. Che al momento - va detto -non è per niente vicino al club di via Aldo Rossi. Certo, la decidione sarebbe "improvvisata" ma in questo caso forse andrebbe forzata la mano anche a costo di strapagare lo svedese, anche a costo di stravolgere la politica di Elliott, anche a costo di dover fare una telefonata... ai vecchi amici. E comunque no, la società non sembra intenzionata ad azzardare il colpo, nel caso dovrà essere brava a trovare qualcuno che abbia nei piedi i gol necessari per non trasformare la stagione in un supplizio. Pescare bene non sarà affatto semplice.
Chiudiamo ancora con il Milan e buttiamo là qualche riga scritta per Esquire.it. Qualcuno troverà questo pezzo esagerato. Beh, fa niente. A fra sette giorni.
Andrea Conti, 25 anni, è quel genere di giocatore colpito dalla malasorte che lo guardi mentre gioca, e lo riguardi, e ti viene in mente “com’era”, e lo riguardi, e a quel punto ti subentra un cattivo pensiero che non tramuti in “velenosa dichiarazione ufficiale” e al limite sussurri lontano da orecchie indiscrete: “Povero ragazzo, dai, diciamolo: a certi livelli è finito”. Che Andrea Conti fosse “finito” lo abbiamo pensato in tanti, esperti e non esperti. E lo abbiamo pensato perché ci ricordavamo cosa combinava all’Atalanta, perché abbiamo visto cosa è successo nei suoi primi due anni milanesi (15 settembre 2017: rottura del crociato anteriore del ginocchio sinistro. 27 marzo 2018: stesso ginocchio, trauma distorsivo, altra operazione), perché abbiamo osservato come (non) stava giocando da qualche mese a questa parte, soprattutto lo abbiamo pensato perché siamo da sempre straordinariamente superficiali.
Dopo tanti guai, mister Pioli lo ha riproposto per la partita più complicata, quella con la Juve. I tifosi hanno pensato: “Ma siamo matti? Ronaldo contro Conti? Ma allora abbattetelo direttamente che almeno non soffre, povera stella”. E invece no, Conti regge, regge eccome. E, certo, Ronaldo non è decisamente quello dei giorni migliori ma lui, l’ex furia diventata “onesto terzino”, lo ferma sempre. E ferma anche Alex Sandro. E più o meno li ferma tutti, e ce la mette tutta, e quando può si spinge in avanti, e serve anche due otre palloni ai suoi compagni di quelli che tante volte si trasformano in gol, ma non nel Milan attuale.Gioca una buona partita, Conti: non “grande”, buona. E soprattutto “continua”, precisa per tutti i 90 minuti, da 6.5 pienissimo. La sua squadra alla fine perde, lo sappiamo, lui no: era “finito”, ha ritrovato il coraggio, la “non paura” e la prestazione nel giorno più difficile. Magari si tratta di un infame “fuoco di paglia”, magari no: di sicuro è stato bello rimangiarsi i cattivi pensieri, quei velenosi “poveretto, non è più adatto per certe partite” mormorati a mezza bocca.
E allora la finiamo qui: sprechiamo sempre tante parole per massacrarli tutti
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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