Nove sconfitte su ventisette. L'Inter ha perso un terzo delle partite disputate in questo campionato: messo così, è un dato che inizia a diventare impressionante. Ogni ko, un po' meno quelli contro le piccole in trasferta, ha una sua spiegazione. Ieri, dopo la sconfitta interna contro la Juventus, Simone Inzaghi l'ha individuata nel braccio galeotto di Rabiot sul gol-partita di Kostic. Un episodio difficile da commentare: le immagini spiegano eccome. Incassata l'ingiustizia, i nerazzurri hanno però avuto settanta minuti più recupero per trovare la rete del pareggio. E non ci sono andati neanche vicini.
Gli episodi non bastano a spiegare. Anche un episodio tanto clamoroso, come quello di Monza che fece arrabbiare Inzaghi allo stesso modo, non è sufficiente per spiegare un campionato precipitato persino nel rischio di non qualificarsi alla prossima Champions League. Il ko contro la Juve, in ogni caso, non può essere l'occasione per l'ennesimo processo a Inzaghi. Non lo merita a pochi giorni da una clamorosa qualificazione ai quarti di Champions e poi il tema non può sempre esaurirsi al solo tecnico. Che contro la Vecchia Signora ha commesso degli errori: il cambio di Barella, il migliore dei suoi, è difficile da spiegare tanto quanto l'abbaglio di Chiffi (e la scelta di affidare a un arbitro non nuovo a incertezze un match così delicato, e la mancata segnalazione di Mazzoleni che è forse l’aspetto più indecifrabile della vicenda). La gestione dei giovani - cosa chiedere a un Bellanova tirato fuori dalla naftalina due mesi dopo? - è un'altra spina da analizzare, il tardivo cambio di assetto anche. Però, anche contro la Juve, un problema di costruzione della rosa è tornato a galla.
A una grande squadra può mancare chi salti l'uomo? L'Inter ha provato a inseguire il pareggio. Con i suoi mezzi, cioè un infinito fraseggio in cerca di spazi da trovare attraverso le geometrie. Non ne sono sostanzialmente arrivati, pure perché di fronte ha trovato una squadra molto solida e schierata praticamente a specchio. E allora si è impantanata, incapace di trovare spiragli offensivi. Non è una novità: l'Inter non ha uomini che dribblino, che saltino l'uomo, che creino situazioni di superiorità numerica. L'anno scorso c'erano Perisic ma anche Alexis Sanchez, a questa rosa manca la suggestione Dybala, tenuto in caldo per mezza estate salvo poi mollare il colpo. Resta ancora oggi il grande rimpianto nerazzurro: il dribbling non è soltanto una questione di estetica, ma a volte diventa fattore di concretezza. L'Inter, se non gioca la miglior partita, non riesce a trovare giocate estemporanee: non ne ha i calciatori. Ed è difficile considerare grande una squadra che non abbia un calciatore in grado di saltare l'uomo quando serve.
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